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Alberto Giovanni Biuso

PER UNA LETTURA FILOSOFICA DELLA RECHERCHE.
FRAMMENTI


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Filosofia e altro


La Recherche è una galassia esplorabile all'infinito, la sua struttura "a nebulosa" (Deleuze) ne permette e anzi richiede una interpretazione senza posa. Ogni sua lettura è quindi una sorta di riscrittura, di vita rinnovata dell'Opera. Anche la Filosofia è un infinito intrattenimento con alcune delle domande fondamentali dell'esistenza: l'esserci, il tempo, la bellezza, la morte, l'umanità, il conoscere... Fra l'opera di Proust e la Filosofia i legami sono, quindi, profondi e da tempo esplorati con intelligenza da numerosi studiosi. Qui tenterò solo di suggerire -assai brevemente- dei possibili percorsi filosofici dentro l'Opera e alcuni dei suoi personaggi.

Albertine è figura del desiderio e della sua costitutiva angoscia, un essere di fuga che esprime in modo persino lancinante l'inafferrabilità delle risposte e della "verità". Essa è davvero la metafora più completa dell'Amore, della sua egocentrica pienezza (quando Albertine è prigioniera) come del suo vuoto (quando diventa per sempre fuggitiva). Nel tema dell'Amore si coglie tutta la profondità morale e metafisica del romanzo, il suo costituire anche una complessa riflessione sulla questione del male. Esso sembra coincidere col desiderio, soprattutto nella sua forma di brama sessuale, là dove esso manca di scopi, dove non è volto alla riproduzione: «tranne che per gli angeli e gli ermafroditi, la sterilità si identifica alla ferocia.

Per Proust, come per Baudelaire, l'amore, se non è riproduzione, è crudeltà: questo è il male fatidico» (A. Compagnon, Proust tra due secoli, Einaudi 1992, pag. 165).

Ma sia Baudelaire che Proust odiano la riproduzione sessuale. Ogni volta che nella Recherche appare una donna incinta il tono è immancabilmente sarcastico, la gravidanza è descritta come una malattia. L’amore è quindi ferocia, lotta crudele dei sessi che niente può riscattare. Se sterile, l’accoppiamento è sadismo. Se fecondo è malattia. L'umanità stessa appare a volte come una escrescenza della materia che soltanto la bellezza può redimere. I lunghi anni che Proust trascorse nella solitudine della scrittura sono frutto solo della malattia e del bisogno di recuperare il tempo? Nello sguardo sensibile ma distante, gelido e ironico delle foto di Marcel che cosa si nasconde e si svela?

Complementare ad Albertine è la figura forse meglio riuscita della Recherche: il Barone di Charlus. Nella dismisura del Narratore che imprigiona l'oggetto del suo amore e in quella di Charlus che vorrebbe dominare ogni evento, Deleuze intravede la follia dello stesso Autore, un ragno che da se stesso tesse i fili della memoria nel tentativo di ricostruirla e soggiogarla facendosene dominare.

Il continuo rinvio di parola e mondo dentro l'Opera fa di essa un miracolo di stile e nello stesso tempo una vera e propria fenomenologia dell'esperienza umana.

E credo che risieda proprio in questa profonda verità della vita non solo l'autentica dimensione filosofica della Recherche ma anche la spiegazione del continuo desiderio di lettura che essa suscita.

L'Opera di Proust è infatti la chiave più profonda del Presente, la sua figura più vasta e comprensiva, poiché in essa prendono corpo e sostanza i miti, le angosce, le ironie, i significati e i sentimenti del mondo. La sua forma è insieme la realizzazione più piena della comunicazione e la prova dell'impossibilità di comunicare.

La sua architettura fragile e possente (segreta e perfetta nei suoi rimandi) testimonia una volontà costruttiva che trova il suo più ovvio ma anche più adeguato paragone con l'edificazione delle cattedrali. Il romanzo di Proust, infatti, è intessuto di simmetrie, costituito di collegamenti e paralleli che poi però l’Autore fa saltare, deviare, perdere per ricongiungerli -infine- in una sintesi non deterministica, imprevedibile. La stessa scrittura di Proust che accumula paperoles, personaggi, vicende, al di là del progetto iniziale e delle prime redazioni, testimonia di una vicenda artistica e morale assai complessa.

Come si situa essa nella storia culturale europea? La Recherche è romanzo ed è critica, è letteratura ma anche filosofia. Vive nello iato fra decadentismo e gloria, fra tradizione e rivoluzione, fra continuità e rottura, rimanendo inclassificabile, contraddittoria.

Quello di Proust è quindi l'ultimo romanzo organico dell' Ottocento e insieme il primo grande romanzo sperimentale del secolo appena trascorso e del quale la Recherche ha molto spiegato, detto, raccontato. E ciò proprio in forza della costitutiva pluralità dell'Opera, della impossibilità di riassumerla sotto un unico segno.

Se la vita è follia, la salvezza/saggezza sta nella scrittura.

È questo uno dei segreti della Recherche. La sua scrittura rinvia sempre al di là di se stessa, alla vita e alla sua grandezza mortale. Il linguaggio tenta un'esplorazione accurata del mondo attraverso la sua ricostruzione sulla pagina: l'età del Nome e quella delle cose si ricongiungono nel significato ogni volta rinnovato delle parole.

Fra i Nomi che sembrano mancare, il più importante è forse quello -mai pronunciato- della fanciulla che nelle pagine finali della Recherche riassume in sé «le due grandi "strade"» (Il tempo ritrovato, Einaudi, pag. 371): la figlia di Gilbert Swann e Robert de Saint-Loup «mi sembrava molto bella: colma ancora di speranze, ridente, composta di quegli stessi anni che io avevo perduti, essa somigliava alla mia giovinezza» (Ivi, pag. 374).

Essa è la sua giovinezza, è il Narratore la confluenza dei due cotés di Swann e dei Guermantes, il suo libro è il trionfo del tempo sul tempo; la Recherche è la figlia luminosa e inquieta dell'esistenza , colta al massimo della sua tensione e del suo enigma; il moltiplicarsi delle sue letture è l'inesausto ritornare della vita che non muore, del Tempo la cui reale eternità è forse un ricongiungimento:

«Je trouve très raisonnable la croyance celtique que les âmes de ceux que nous avons perdus sont captives dans quelque être inférieur, dans une bête, un végétal, une chose inanimée, perdues en effet pour nous jusqu’au jour, qui pour beaucoup ne vient jamais, où nous nous trouvons passer près de l’arbre, entrer en possession de l’objet qui est leur prison. Alors elles tressaillent, nous appellent, et sitôt que nous les avons reconnues, l’enchantement est brisé. Délivrées par nous, elles ont vaincu la mort et reviennent vivre avec nous»
(Ed. Gallimard "Quarto", Paris 1999, pag. 44; trad. italiana in La strada di Swann, Einaudi, pag. 49)


«Mais, quand d’un passé ancien rien ne subsiste, après la mort des êtres, après la destruction des choses, seules, plus frêles mais plus vivaces, plus immatérielles, plus persistantes, plus fidèles, l’odeur et la saveur restent encore longtemps, comme des âmes, à se rappeler, à attendre, à espérer, sur la ruine de tout le reste, à porter sans fléchir, sur leur gouttelette presque impalpable, l’édifice immense du souvenir»
(Ivi, pag. 46; trad. italiana pag. 52)


(Maggio 2003)



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1998


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