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Gianluca Ceriana

VITA VERA E RUOLO DELL'ABITUDINE
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"La grandezza dell'arte vera (di un libro essenziale, l'unico libro vero, un grande scrittore non ha, nel senso comune della parola, da inventarlo, in quanto esiste già in ognuno di noi, ma da tradurlo. Il dovere e il compito di uno scrittore sono quelli di un traduttore) consiste nel ritrovare, nel riafferrare, nel farci conoscere quella realtà da cui viviamo lontani, da cui ci scostiamo sempre più via via che acquista maggior spessore e impermeabilità la conoscenza convenzionale che le sostituiamo: quella della realtà che noi rischieremmo di morire senza avere conosciuta, e che è semplicemente la nostra vita.

La vita vera, la vita finalmente scoperta e tratta alla luce, la sola vita quindi realmente vissuta è la letteratura: vita che, in un certo senso, dimora in ogni momento in tutti gli uomini altrettanto che nell'artista"


Il libro della nostra vita è quindi la nostra più grande opera, scrittori o non scrittori; lo scrivere di noi e di chi ci sta intorno, delle persone e cose che fanno il nostro mondo, che popolano la nostra vita, è nel contempo piacere e dovere, l'unico modo, come asserisce Proust, di recuperare il tempo perduto, di fermarci un attimo a rileggere e, di conseguenza a rivivere, il nostro passa- to (recente, poche pagine fa, remoto, centinaia di pagine indietro); l'unica maniera per essere consapevoli di chi e di ciò che siamo, di isolare fatti e sensazioni, azioni ed emozioni dalla stagnante palude dell'abitudine.

E anche ciò che l'Abitudine (dea idolatrata e temuta che ci rende tranquilli e sicuri di noi stessi all'interno, per fare un esempio, della nostra abitazione o fra persone amiche e di prolungata frequentazione, così come subito insinua in noi agitazione e insicurezza un ambiente nuovo o la presenza di sconosciuti; la stessa ci ispira anche un sentimento di noia quando tutto ci appare troppo usuale, il solito. Ma una volta reinsediatasi nella nostra vita, nuovamente come nostra dea protettrice, angelo custode, allora grazie a lei tutto ci è di nuovo amico, familiare e sotto completo controllo.

Quante volte infatti, come accade al Narratore al suo arrivo a Doncières, una stanza d'albergo --- fosse anche la camera inedita di un amatissimo amico o amica che ci abbiano dato ospitalità --- dagli arredi e dai profumi così differenti da quelli a cui siamo abituati e che, quasi sempre non notiamo più se non al momento di perderli, di non averli più sotto gli occhi, non ha provocato in noi disagio e sofferenza? Per poi, però, dopo poche ore, già esserci diventata amica, comodo rifugio nei momenti di riposo) nasconde sotto il suo mantello, scuro come quello delle notti di fine estate, il cielo nerissimo e invisibile coperto da nuvole gravide di temporali, ossia fatti e sensazioni quotidiane, comuni ma nello stesso tempo irripetibili; e ancora volti, parole, gesti e movimenti impercettibili di ogni giorno, subito dimenticati, così come un brutto film o un pessimo libro, almeno fino a quando la memoria involontaria li faccia tornare davanti ai nostri cinque sensi.

A tal proposito Proust afferma che l'Abitudine, stendendo sulla nostra vita un uniforme e spesso strato di vernice, ci impedisce di vivere la vita vera, reale, che torna tale grazie alla memoria appunto detta involontaria la quale, per puro caso (ed è: "il modo fortuito, ineluttabile, con cui ero incappato nella sensazione, garantiva di per sé la verità del passato che essa resuscitava..." ), riporta a noi sensazioni ed emozioni già provate in passato.

Personalmente asserirei che la nostra vita vera sia anche e soprattutto la vita di tutti i giorni, seppur talvolta accompagnata da un'impressione di una noiosa ripetitività; questo perché non sappiamo scorgere le piccole gioie quotidiane, i tanti momenti di sorriso e gaiezza dati da ciò che ci sta intorno, da chi ci è vicino o incontriamo col favore della casualità, a causa del lavoro serrato e impegnativo, della stanchezza, dello stress. E solo quando, magari per un attimo, isoliamo questa facciata fittizia che ci contraddistingue nell'attendere alle nostre funzioni lavorative e sociali, allora torniamo a vedere e sentire ciò che ci circonda, un cielo limpido, una pietanza gustosa, una risata coinvolgente e siamo di nuovo limpidi, sereni, noi stessi: la vita vera è anche quella appunto di tutti giorni, non scritta, mai fissata su carta, mai tradotta ma intensamente, interamente vissuta.

Semmai l'abitudine --- e in ciò concordo pienamente col pensiero proustiano --- inibisce la nostra facoltà di apprezzare il mondo esterno (ma anche quello interiore) cancellando piaceri semplici e forse comuni, ma grandissimi, quali ad esempio il sapore di un bicchiere di vino, di un frutto fresco, l'emozione di un sorriso, la conversazione con una persona che si stima, nella tranquillità e nell'intimità del proprio ambiente. Così che, mondata dall'abitudine, non è la totalità della nostra vita che ricordiamo o riportiamo su carta, ma una scelta personale del meglio di essa.

Vissuto, o pagine che riportano il vissuto, che contiene il tempo della nostra vita, tempo presente – o meglio, da poco accaduto – al momento dello scrivere, fatti e azioni il cui ricordo, in questo caso, non torna a noi grazie alla memoria involontaria (non è un profumo avvertito nell'aria a farci ricordare un luogo ove siamo stati, magari per una sola volta anni or sono o una pietanza di rara consumazione che ci riporta ad un estivo picnic del passato; e nemmeno è

"lo zirlare d'un tordo posatosi sul più alto ramo di betulla. Di colpo, quel suono magico fece riapparire davanti ai miei occhi la tenuta paterna[...] e, trasportato subitaneamente nel passato, rividi quella campagna dove così spesso intesi fischiare il tordo" (*); azione, quella della memoria involontaria che comunque, appunto casualmente e ad intermittenza agisce su di noi), ma ad una puntigliosa e selezionata raccolta di appunti (e non Diario) su quanto vissuto ora e un tempo.

(Marzo 2004)

(*) c.f.r. " Mémoires d’Outre-Tombe ", di R. de Chateaubriand



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1998


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