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Marta Correggia

IL MIO PIU CARO AMICO
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Mi è molto difficile scrivere di Marcel Proust. Ogni volta che ho tentato sentivo come se qualcosa mi trattenesse, come se qualcosa mi tenesse alla larga dallo scrivere di lui perchè troppo avrei svelato di me. E' come quando ci si protegge da qualcosa, come quando si vuole evitare di mettersi troppo a nudo per non rivelare la propria natura e restare, poi, senza difese e senza scuse cui appigliarsi.
Così è stato per me fino a adesso. Parlare di Marcel Proust è come parlare di quello in cui credo, di ciò che sono e se già è difficile farlo con amici, ancora di più è farlo con chi non si è mai visto nè forse si conoscerà mai, attraverso uno schermo che luccica e ci riempie di mille ipotesi sul volto e il carattere dei nostri interlocutori.

Così fino a adesso, fino ad oggi, fino a due minuti fa.

Poi non so, forse perché oggi inaspettatamente avevo una giornata tutta per me e ho riletto per l'ennesima volta qualche passo della  Recherche, forse perché nessun sentimento ci rimane fedele, mi è venuta la voglia di scrivere del mio più caro amico, dell'insostituibile compagno della mia esistenza che è con me in ogni situazione, in ogni momento vive dei miei affanni e delle mie gioie.

All'improvviso ho sentito come uno slancio vitale ed inarrestabile a comunicare, a chiunque voglia farlo proprio, la profonda delizia delle sue parole, la sua arguta ironia, il suo sapere penetrare nei più intimi anfratti dell'animo umano e metterlo sottosopra, scoprendo risvolti e doppi fondi che neanche sapevamo di possedere. Così ho deciso di accettare il rischio e di tentare.

La mia vuole essere la storia di una giovane lettrice non di una accademica o di una studiosa, di chi si è avvicinata alla  Recherche su consiglio di un caro amico (grazie Dario!) con una gradita incoscienza ed una perplessità infinita. Era come se allora sentissi il bisogno di capire un po' meglio la mia vita e ciò che la circondava, ma nulla riusciva a soddisfarmi. Marcel Proust arrivò allora, arrivò descrivendomi nella prima pagina di  Du côté de chez Swann


"... la distesa di una campagna deserta, dove il viaggiatore si affrettava verso la stazione più vicina, e il sentiero che percorreva gli sarebbe rimasto impresso nella memoria per l'eccitazione che suscitavano in lui luoghi nuovi, gesti inconsueti, discorsi appena fatti, gli addii sotto la lampada estranea che lo seguono ancora nel silenzio della notte, la dolcezza prossima del ritorno..."

Tanto bastò per esserne conquistata.

Il fatto è che sentivo (e la sensazione che provo è la stessa ogni volta che rileggo questo passo) che quel viaggiatore ero proprio io, ero io che passeggiavo in quel sentiero, in un posto nuovo, era mia l'eccitazione che sentivo crescere sulla pelle, nelle ossa e che mi invadeva il corpo fino quasi a sentirlo scoppiare. Era come se quello che avevo sempre avvertito in maniera indistinta, ogni volta che vedevo un luogo sconosciuto o percepivo una emozione diversa, si fosse all'improvviso rivelato. Come se tutto ciò che prima vagava informe in una parte nascosta del mio essere, veloce fluire di un sentimento che non riuscivo ad afferrare, si fosse d'un tratto fermato, ridotto ad unità, solidificato e composto e si presentava chiaro di fronte a me, smussato delle sue inquietudini e della sua fragilità.
Ed io...io non avevo fatto nulla, semplicemente uno scrittore, di cui prima avevo sentito parlare solo in maniera distratta, aveva compiuto tutto il lavoro e la fatica e me la presentava in frasi asciutte e pacate, ad aprirmi sentieri e strade sconfinate. Mi rendo conto che il discorso è personale, che ognuno vive e sente le cose diversamente, ma uno scrittore per me deve soprattutto essere in grado di offrirmi un'atmosfera di complicità, come se quei sentimenti, quelle emozioni, li avessimo provati entrambi in tempi diversi, io come chi sta appena apprendendo i rudimenti di una lingua e lui capace di tradurre in parole i segni e i suoni di questo nuovo linguaggio dell'anima.

Così è Marcel Proust. Così, in una delle pagine più belle della  Recherche, descrive i vizi e le virtù della amicizia e quelli che descrive non sono solo i suoi amici dell'inizio del secolo, sono anche e soprattutto i miei, come se li avesse conosciuti, come se essi fossero stati lì presenti davanti a lui, a parlare e ciarlare, per sempre scolpiti nelle sue pagine, testimonianza diretta della loro esistenza.

Il mio più caro amico...; quest'uomo capace di penetrare il carattere e il cuore vero di una persona al di là delle parole, capace di scoprire le intenzioni di un uomo da quegli sguardi inclinati, quei gesti involontari e dettati da un impulso momentaneo e subito ritratti, nascosti per non svelare la loro natura chiarificatrice. E quei gesti, quelle sfumature della voce, quegli sguardi incrociati esistevano anche per me, anche nella mia vita, avevano quel senso che insieme con lui sono riuscita a decifrare. Così, in tanti modi diversi, Marcel Proust riempie la mia esistenza e le dà un sapore nuovo. Il sapore di quegli istanti in cui i sensi sono talmente ricettivi da cogliere ogni più piccolo profumo, ogni più piccolo odore, dove la vista si aguzza e svela il significato della cose al di là della loro apparenza esteriore, dove il tatto fa riscoprire il segreto del passato e la sua saggezza per costruire un futuro, dove la memoria e il ricordo hanno il profumo del giardino dove ho passato la mia infanzia che è diventato il mio viale dei biancospini, che forse nessuno potrà comprendere, ma esso è lì davanti a me e chiede solo di essere percepito.

Quell'odore di rose, il latrato dei cani, quel giardino albergano in me ogni qualvolta un suono, una voce, un gesto lo rievocano al mio ricordo e mi fanno gustare la loro gioia silenziosa e discreta. Non so se sarei mai riuscita a farlo senza il suo aiuto ma adesso mi pare di dare un senso alle cose diverso dal passato, mi pare di tenere un po' più in considerazione quel brandello di cielo che ogni giorno mi sovrasta, di mischiare, per la prima volta, la polvere della realtà a sabbia magica.

(Luglio 2000)



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1998