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Giovanni De Stefano

QUADRERIA MODERNA A PALAZZO PROUST
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Giovanni De Stefano, un giovane studente universitario di Lettere Moderne (indirizzo Storia dell'Arte Contemporanea), mi ha inviato il testo di una sua tesina su Proust e l'arte di avanguardia che aveva lo scopo di (cito dalla sua mail):
"... fare una rassegna delle reali o inconscie fonti figurative del linguaggio di Proust e trattare di come un artista possa partecipare, con i suoi scritti, ai movimenti d'avanguardia deformando i contentuti, il genere romanzesco e la stessa natura della sintassi come un espressionista o un cubista altera la forma dei suoi soggetti".

Ciò che segue sono alcuni stralci della tesi che effettivamente, a mio modo di vedere, esplora le pagine della Recherche da un punto di vista molto particolare, e cioè del rapporto tra scrittura ed arti figurative.




Le inclinazioni artistiche e più specificatamente disegnative e coloristiche che erano state nell'immaginazione di Proust fin da bambino, sopravvissero dunque all'adolescenza, alla maturità e alla letteratura, e combinandosi con le nuove profferte in spazio che il progetto di un'opera À la recherche du temps perdu mostrava, produssero un tale numero di immagini e si dimostrarono interpreti talmente vivaci di molte altre che, per la conoscenza di un Proust finalmente realizzato nella scrittura di romanzi, non si potrà tacere della duplice attività di artista e critico d'arte che, certamente, si limita ad affiancarsi ai diversi interessi dell'intellettuale, ma a volte finisce per costituire la vera ossatura di certe convinzioni più generali e "filosofiche".

Committente o esecutore della vasta raccolta che accumulò negli anni alle pareti della sua sala grande, della sua galleria di palazzo, Marcel Proust di quei quadri fu orgoglioso al pari di un collezionista e altre volte noncurante, come il vero autore di magnifica pittura.

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Così, Proust da artista, nella Recherche, probabilmente supera in "modernità" relativamente presto anche Cézanne, ma ogni volta che libera la sua vena pittorica, dal punto di vista critico (come lui vorrebbe, spesso, a dispetto di ogni talento visivo: se solo quei quadri fossero già esistiti) è impotente fino all'allontanamento della sua lente deformante, ovvero fino alla morte dello stesso interesse per il soggetto, con alcune fondamentali eccezioni.

Il fatto che tutto questo sia materia di letteratura, sia insomma codificato nero su bianco, personalmente "storicizzato", costituisce una parte dell'unicità del capolavoro proustiano.

Altrimenti, il Narratore diviene critico.

Proust critico d'arte dovrebbe esserlo nei casi in cui ragioni sull'opera artistica "altrui" e fornisca su di essa delucidazioni, commenti, interpretazioni, stavolta in forma più coerentemente vergata. Pare infatti la forma di approccio all'arte più conforme al mestiere, mai smesso, di scrittore.

In effetti, per i più vari scopi, Proust lascia perlopiù ad altri il compito di indagare misteri di culture più o meno lontane e se per Swann si può dire che sarà in parte il suo interesse e quella forma di "cattiva coscienza" verso la pittura di Vermeer, a soggiogarlo allo strano amore per una donna che non gli "piaceva", che non era il suo "tipo"; lo scrittore Bergotte, proprio davanti la veduta di Delft, vi morirà senza pace.

Per il resto, se si citano direttamente le Virtù di Giotto, pur collocandole correttamente a Padova, è per trattare di una sguattera incinta che prestava servizio presso zia Léonie, e che "portava il proprio simbolo" materialmente, ma con la grazia particolare di chi non sa in realtà cosa significhi.

D'altra parte, il Narratore non si lascerà sfuggire occasione di parlare una volta di più, e con un piglio da specialista, dei ritratti femminili e delle celebrate marine normanne che Elstir, il suo personaggio pittore, dipinse nella finzione romanzesca.

Tuttavia c'è dell'altro. Nell'osservare gran parte delle opere di Antonio Canova, si poteva e si può essere persuasi di trovarsi al cospetto di casi rarissimi di sopravvivenza al tempo, greci ma non scheggiati, romani eppur bianchissimi. Ma in alcuni momenti, lo scultore di Possagno offre niente altro che perfette, finalmente tangibili ekphrasis di marmo di passi classici mai rinvenuti, per gruppi antichi mai perduti.

Proust, quando è critico dell'arte al suo modo eclettico e giocoso, invece, riscrive a bella posta dei simili di quei testi realmente preziosi a Botticelli ma, in luogo delle orecchie di Mida, descrive la pioggia a Combray e larghe distese di fiori dalla carrozza di Madame de Villeparisis o il mare a Balbec fra le imposte, stavolta artista più effettivo di quello a teatro, sotto il palco della principessa di Guermantes, a disagio per la sua stessa potenza intellettuale; modesto, quando a Doncières, certe sere in cui le vetrine si illuminavano rendendo oro solo ai suoi occhi ciò che alla semplice luce del sole al tramonto, forse, neppure luccicava, attribuisce alla vita e datava all’istante ciò che d’altra parte la natura gli aveva sì commissionato, ma che da tempo un proprio genio gli aveva ispirato.

E questi testi un vero pittore, a sua volta fingendo, saprebbe forse renderli in tela chiudendo il ciclo, se solo potesse restituire anche il senso di durata, di separazione fra le variazioni della materia e della luce sulla materia, se dunque oggi fosse un caposcuola o, un tempo, un grande impressionista come Claude Monet.

(Dicembre 2002)



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