Nella stanza vicina, sentivo la zia chiacchierare da sola a mezza voce. Parlava sempre un pò sottovoce, giacché credeva d'aver nella testa qualcosa di rotto che fluttuava e che a parlar troppo forte avrebbe potuto rimuovere; ma, anche se era sola, non stava mai a lungo senza dir qualcosa, perché pensava le facesse bene alla gola e impedisse al sangue di stagnare, rendendo così meno frequenti le soffocazioni e l'affanno di cui soffriva; inoltre, nell'assoluta inerzia della sua vita, ella dava alle sue minime sens "azioni un'importanza straordinaria; le dotava di una motilità per cui le riusciva difficile tenerle per sé, e, in mancanza d'un confidente al quale comunicarle, se le annunciava a se stessa, in un perpetuo monologo che era la sua sola forma di attività.
Disgraziatamente, avendo presa l'abitudine di pensare ad alta voce, non badava sempre che la stanza vicina fosse deserta, e spesso io la sentivo dire a se stessa: "Devo ricordarmi bene che non ho dormito" (giacché sosteneva fermamente di non dormire mai, e il nostro linguaggio s'improntava rispettosamente a questa sua presunzione: Françoise non andava a "svegliarla" il mattino, ma "entrava" nella sua camera"; quando la zia voleva fare un sonnellino durante il giorno, dicevamo che voleva "riflettere" o "riposarsi"; e, quando le avveniva di dimenticarsi discorrendo fino al punto di dire "quello ch m'ha svegliata" oppure "ho sognato che" arrossiva e si riprendeva prontamente"


--- La strada di Swann