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GIACOMO DEBENEDETTI:

"TRANSUSTANSAZIONE E METEMPSICOSI
DELL'ANIMA DELLE COSE"






Nato nel 1901 e morto nel 1967, Giacomo Debenedetti è stato uno dei maggiori critici letterari del Novecento.

Fu uno dei primi in Italia ad accogliere la lezione della psicoanalisi e in genere delle scienze umane e tra i primi a cogliere tutta la portata del genio di Proust, il cui nome ricorre sempre nei suoi scritti.

All'opera di Marcel Proust, Debenedetti dedicò, nel 1946, il lungo saggio "Rileggere Proust" la cui acutezza colpisce ancora di più se si pensa che, a quell'epoca, non tutta la produzione proustiana era ancora nota e disponibile agli studiosi.

I brevi stralci qui sotto riportati sono tratti da "Il romanzo del Novecento", volume che riunisce i quaderni del ciclo di lezioni tenute da Debenedetti all'università di Roma negli anni '60 e nel quale egli pone le "epifanie" di James Joyce e le "intermittenze del cuore" di Proust come elementi fondanti e costitutivi del romanzo del Novecento.






"... La Recherche (...) si affida ad una virtù verbale che, aiutata dalla portentosa capacità mimetica ed evocativa dell'inflessione e arabesco della frase, fa della parola, attimo per attimo, l'organo e il luogo di una transustansazione diretta delle cose nel segno sillabico e sonoro e articolato che le rappresenta e insieme le trasfigura, meglio ancora fa della parola l'organo e il luogo di una metempsicosi dell'anima delle cose in quelle sillabe che ne costituiscono la nuova, tattile, sensibile, musicale incarnazione. Si percepisce con l'occhio o con l'orecchio la parola o la frase, si tocca la cosa in tutti i sensi, con l'intelligenza e con la consapevolezza di assistere ad una divinazione di ciò che la cosa realmente è, nella sua fisionomonia e nel suo ormai irrefutabile segreto. "

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Non so se sia già stato detto da qualcuno degli innumerevoli critici di Proust: mi pare in questo momento di accorgermi per la prima volta che la "mondanità" in senso laico del giovane protagonista della Recherche sia, forse inconsapevolmente, una allegoria di quel vivere mondano come lo vivono i religiosi: che è il subire la cronaca e la storia come improvvido sfacelo e distruzione del tempo, in cui ci consumiamo e da cui siamo consumati. E' per lo meno significativo che, nel momento in cui contrappone il proprio compito di scrittore, di poeta alla precedente mondanità intesa come bella vita nel bel mondo, Proust affermi che "si entra in letteratura come si entra in religione", il che per contrapposto farebbe supporre che il dissiparsi nel bel mondo valga anche come una vistosa, appariscentissima metafora di ciò che i religiosi chiamano il perdersi nel mondo e nelle sue vane apparenze.

Giacomo Debenedetti "Il romanzo del Novecento" - Quaderni inediti. Prefazione di Eugenio Montale, Garzanti





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Pagine realizzate da Gabriella Alù
1998