Perché Proust ?
E Proust ?
Gratuita e inutile esibizione culturale da take away letterario?
Posticcia etichetta intellettualoide appiccicata ad uno pseudo-arredo in cerca di consenso anche presso i più nozionati tinelli iperborghesi ?
Non propriamente: con la "poltrona Proust" e la sua colorazione divisionista - che conserva ancora tutta l'effervescenza cromatica dell'impressionismo - Mendini ha voluto proporre un oggetto "banale" in grado di concretizzare nella realtà - anzi , nella tridimensionalità - quella effervescenza sensoriale presente in molte pagine di Proust e che puòtrasformare la lettura della Recherche in una "esperienza impressionista".
L' intento di rendere sensorialmente effervescente un oggetto attraverso una pittorica cosmesi divisionista è una risposta molto convincente alla diffusa necessità postmoderna di rendere più saporosi e appetibili i prodotti dell'industrial design.
Per questo la "poltrona Proust" può essere considerata come un oggetto che, a suo tempo , è stato anche "potenzialmente educativo": poteva insegnare ai vari designer e architetti funzionalisti a riportare la dimensione della "piacevolezza sensoriale" anche nei paesaggi oggettuali del quotidiano.
Del resto, anche Proust ha potenzialità educative in grado di far capire, a chi si avvicina alle sue pagine, quale importanza possono assumere gli inanimati abitanti dei nostri spazi, dall'insignificante laccio da scarpe , all'oggetto "da contemplazione" (ad esempio un vetro di Gallè, uno scampolo di Fortuny , una
lampada acrilica di Colombo) fino all'opera d'arte - la cui "oggettualità "è finalmente del tutto secondaria.
La lettura della Recherche ci impedisce di rimanere indifferenti nei confronti degli oggetti che ci circondano: perchè guardiamo le cose che abitano il mondo con il sospetto che non siano inermi detriti di una scenografia passiva sulla quale passa la nostra esistenza, ma che invece siano presenze attive che, potenzialmente, possono intervenire nella nostra vita in quanto "sigilli" concreti --- inseriti tra realtà e memoria - --di eventi del nostro vissuto.
L'opera proustiana ci permette di riconoscere che, giorno dopo giorno, la lampada sulla nostra scrivania, o il comodino che conserva, uno sull'altro, i libri che amiamo, possono partecipare alla nostra esistenza quasi quanto le persone a noi care, i paesaggi o i capolavori .
L'oggetto che da anni abita la nostra camera, o che ad ogni estate incontriamo nella hall di un albergo,
può, inaspettatamente, rinnovare in noi i piaceri e i dolori che abbiamo vissuto nella nostra stanza, o i giorni di sole e di vento che abbiamo trascorso in riva al mare.
Tuttavia, così come non tutti i nostri ricordi sono volontari, allo stesso modo non possiamo scegliere quali o quanti oggetti potranno acquisire quella "significanza" tale da lasciar sorgere, in noi, una rivelazione mnemonica e involontaria del nostro vissuto.
Potenzialmente, anche un oggetto qualsiasi --- al di là della sua bellezza, della sua utilità, e persino della sua autenticità --- può diventare un inaspettato, prezioso e decisivo souvenir della nostra esistenza: ma questo non dipende dalla nostra volontà .
E forse è anche in seguito a simili considerazioni se Proust, come ricorda Tadiè, a differenza di molti asmatici e di molti suoi contemporanei decadenti, non ha mai collezionato alcunché .
Congedo
Mi congedai dalla poltrona, con un profondo inchino. Uno ad uno, i pochi gradini mi lasciarono scendere dolcemente a terra.
Mi voltai, girando sui tacchi, e solo allora notai la grande scalinata, poco lontana, che conduceva ai piani superiori della Triennale: una grande parete scandita da aperture rettangolari versava una cascata di gradini sulla calma piatta del pavimento.
Mentre mi avvicinavo alla scalinata, osservavo quella parete traforata di geometrie trafitte di luci, che si imponeva, tra i miei stessi occhi e la mia immaginazione, come la presa d'aria di un enorme condizionatore: non certo uno dei condizionatori d'oggi, smussati, tondi, piacevoli da palpare, ma una di quelle spigolose e scabre scatole, forse tutte covate dalla "Casa del fascio" di Terragni, che agli inizi degli anni settanta già asciugavano i sudori dei più disinvolti consumisti.
"Che caldo , che caldo ... ai miei tempi! Eh , non ci sono più le estati di una volta !"; esclamava spesso mio padre quando rievocava, con la testa tra le mani, gli anni della sua infanzia.
All'epoca di questi lamenti paterni ero affascinato dalle epopee pubblicitarie in TV, che a casa mia non era ancora "Color".
Fantasticavo per ore sulla vellutata consistenza di quelle pastose creme di tonno tritato in scatola, sempre ambite, mai assaggiate, che invadevano, anni fa, gli intermezzi pubblicitari dei miei pomeriggi televisivi.
Dopo aver visto "Le ragazze della Terra sono facili", con Geena Davis e Jeff Goldblum, più di una volta ho desiderato assaggiare il pratico pronto sapore del miglior formaggio spray , immaginato come una soffice nuvola spumosa , dal sapore setoso ... quasi una folata ... un foulard delizioso e salato che svolazzava nella mia bocca.
Ma, ahimè, all'ora di pranzo, disgustato dagli spaghetti brinati di Parmigiano, cadevo rovinosamente dal mio mondo di artefatti sogni gastronomici.
E ancora oggi, il minestrone devo mangiarlo rigorosamente passato, perché l'uso del mixer --- elettrico, naturellemente ... --- aggiunge un tocco di discreta artificialità meccanica alle verdure, e posso così ancora illudermi che il liquido verde nel mio piatto sia stato versato da una busta precotta pronta da riscaldare .
Sopraffatto dai ricordi, mi fermai, quasi automaticamente, e mi ritrovai con un piede sul primo gradino della scalinata, dalla quale scendevano gli echi di ignote voci.
Meccanicamente, abbandonai il gradino, e voltandomi verso l'uscita, attraversai in tutta fretta il salone. Volevo subito uscire, andarmene al più presto ...e tornare a casa.
Solo più tardi mi vergognai del fracasso delle mie scarpe che , mentre fuggivo verso l'uscita, non potevo nemmeno sentire, nemmeno percepire ...
Ormai, fuori, era il tramonto. Per fortuna non pioveva più: il sole aveva squarciato il cielo, e ora colava arancione, come un tuorlo, tra l' albume delle nubi. Dopo un ultimo sguardo, lasciai definitivamente la Triennale. Finalmente, con la luce aranciata del crepuscolo, i mattoni ardevano, rossi e roventi, tra i ricami irti dei rami.
La sede della Triennale di Milano
In cammino verso la stazione più vicina provai, quasi per gioco, a ripensare alla "poltrona Proust": in quel momento, con mia sorpresa, mi riuscì faticoso poterla rivedere, o anche solo recuperare, nella mia mente ...
Tutto ciò che ritrovavo, nel ricordo, era solo un residuo cromatico ... era solo un pulviscolo di colori.
Più tardi, a casa, mi resi conto di aver perso l'ombrello.
Pagine realizzate da Gabriella Alù
1998
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