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Paola MUSARRA

(Ri)leggere Proust: "Parme"

Testo in francese
Testo francese






1. Dolcezze

Era il 1992. A un seminario romano per professori di francese, Michèle ci aveva parlato delle difficoltà di traduzione dei nomi propri e, in particolare, del nome "Parme", che appariva a Proust "compatto, liscio, dolce e mauve (color malva)" in virtù di quella sillaba "pesante" ( il francese "Parme" consta di una sola sillaba) ove "non circola aria", e in virtù di tutto ciò che egli le aveva fatto "assorbire" di "dolcezza stendhaliana" e del "riflesso delle violette". Proust a 13 anni

Il nome "Parme", diceva Michèle, non si riferisce alla città di Parma: è un significante allo stato puro che designa solo se stesso, generando una rete di "correspondances" (Stendhal, les violettes), che nasce e si sviluppa all'interno della lingua stessa a partire da associazioni, come nel lavoro analitico.

"Ecco perché, ci diceva, per quanto possa sembrare paradossale, "Parme" nella traduzione italiana deve restare "Parme". E questo un solo traduttore ha osato farlo." (1)

La sera, dopo il seminario, avevo guardato a lungo, lì, sullo scaffale della mia libreria, i tre volumi della Recherche nell'edizione della Pléiade che mio padre mi aveva regalato per i miei diciotto anni.

Già da una decina d'anni ormai non insegnavo più letteratura ai miei alunni ed ero molto preoccupata (sì, Gabriella) per il destino della Recherche: ce la faranno ancora a leggerla?

Per quanto mi riguardava personalmente, poi, non avevo più avuto il coraggio di (ri)leggere Proust: sapevo bene che una nuova lettura, per il peso e l'esperienza degli anni, avrebbe fatto sbocciare una nuova fitta rete (forse troppo fitta) di "correspondances".

Ma questa volta avevo in mano un filo conduttore, un filo di Arianna che mi sollecitava, mi provocava: era l'associazione tra la sillaba "Parme", il color malva, l'aggettivo "dolce" e la misteriosa frase "ove non circola aria".

Alcuni giorni dopo scrivevo a Michèle:

Cara Michèle,

credo di aver trovato il misterioso "dolcetto" proustiano, il significante nascosto che cercavo venerdì sera, a proposito di Parma/Parme.

Che cosa è liscio, compatto, pesante? La "pâte".

E che cosa è dolce e ha il profumo e il colore delle violette? La "pâte de guimauve" (gui-mauve!).

La guimauve (althea) è un farmaco che serve a rendere fluide le secrezioni dei bronchi, come del resto l'infuso di violette, ben noto nelle nostre campagne per le sue proprietà emollienti...

Il mio farmacista-erborista mi ha confermato che al tempo di Proust questo "farmaco" avrebbe potuto essere utilizzato come un palliativo contro l'asma..

Ma quello che è interessante, è che la "pâte"... non è una vera pasta: si parla infatti di una sostanza medicinale, solidificata per evaporazione. E non è tutto: non c'è traccia di "guimauve" nella "pâte de guimauve!" Si tratta semplicemente di pastiglie emollienti molto ("troppo") dolci, tipo Valda, ma... profumate alla violetta (questo particolare me lo ha confermato per telefono una vecchia signora francese di 82 anni).

Mi sembra chiaro comunque che il significante nascosto "pâte" deve aver agito nella memoria di Proust: liscio, compatto, pesante... è probabilmente anche un sapone profumato...

L'interpretazione "pesante (di senso)=impregnato (di profumi)" è confermata dalle pagine proustiane sulla principessa di Parma, in cui l'idea di profumo ("come un profumiere...") è associata a quella di farmaco ("impastature - malaxations - chimiche", "olio essenziale": sono termini che appartengono sia al campo della profumeria che a quello della farmacologia).

Al di là di queste sinestesie, una rapidissima visita alla Recherche mi ha rivelato che la parola "Parme" è associata all'idea di soffocamento ("étouffement"), ma anche all'intimità, alla sensualità (Odette, il grande mazzo di violette di Parma nel suo salotto, l'ombrellino "mauve"...). Il color malva sembra avere una parte fondamentale nell'evocazione dell'intimità femminile.

Una fantasia: è permesso immaginare una di quelle donne stupende che circondavano Proust bambino, mentre estrae dalla setosa intimità (mauve?) della sua borsetta una raffinata scatolina di pastiglie emollienti (pâte de guimauve...) per soccorrere (ingenua panacea) il piccolo Marcel in preda a una crisi di soffocamento? (...)

Questo scrivevo il 3 febbraio 1992.

violette

Oggi, dopo otto anni, mi immergo ancora una volta nella Recherche.

La rete di innervazioni si anima sotto il mio sguardo come quei fiori di carta giapponesi che ritrovano nell'acqua forma e colore.

E mi rendo conto ad un tratto che nella mia memoria l'associazione con il dolcetto, la pastiglia, la caramella, era nata anche dal ricordo inconsapevole di un'esperienza infantile molto ricca di sinestesie che Sartre (niente di apparentemente più lontano da Proust!) ci racconta nella sua opera autobiografica Les mots . (2)

Nei giorni di pioggia il piccolo Jean-Paul andava al cinema con sua madre in rue Soufflot, a Parigi, vicino al Panthéon. Là, il fascio di luce che attraversava la sala faceva danzare fumo e pulviscolo, mentre il pianoforte "nitriva" e... al muro rilucevano "pere violette". Un odore acre di disinfettante prendeva il bambino alla gola: odore e frutti si confondevano nel buio, e lui "mangiava le lampade di sicurezza" (p.98), si riempiva del loro gusto acidulo.

Sullo schermo, si affrontavano il bandito e la baronessa. Poi, il bel volto dell'attrice cedeva il posto ad un cartello mauve (!): "Fine della prima parte".

Durante l'intervallo, mentre la sala "reinventava il linguaggio", la maschera vendeva caramelle inglesi, la mamma di Jean-Paul gliele comprava, lui se le metteva in bocca e "succhiava le luci di sicurezza." (p. 99)

Questa volta però, approfittando della meravigliosa libertà e della generosità di questo sito (no, adesso non sono più preoccupata per Proust!), voglio esplorare più a fondo l'altra rete di associazioni, senza preoccuparmi di sapere se altri hanno esplorato o esploreranno questo terreno, senza ansie accademiche.

Guidata unicamente dal mio desiderio e dal mio piacere, voglio seguire la pista dell'intimità femminile evocata da mauve, "dolce", "violette di Parma". L'elemento sèmico da isolare nella parola "doux", dolce, non sarà più "dolce=zuccherato" ma "dolce=setoso".

E i colori di seta saranno luminosi e trasparenti all'aria aperta, o più misteriosi e dolci al tatto se nascosti fra le pieghe di un giardino segreto .


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(1) Michèle Fourment-Berni Canani, "Le statut des noms propres dans la traduction", in Studi Italiani di Linguistica Teorica e Applicata (SILTA), XXIII, 3, 1994, p.567. Il traduttore che "ha osato" è Giovanni Raboni.

(2) Jean-Paul Sartre, Les mots, Gallimard, Paris 1964.




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1998


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