Coll'aggravarsi della malattia, e della stanchezza, Proust si ritirò definitivamente dal mondo, e, chiuso in casa come un uno scrigno incrostato di preziosi dall'interno, iniziò a scrivere quella titanica opera che è oggi considerata capolavoro della letteratura francese del periodo, e dalla quale amerei estrapolare un breve brano, ancora a dimostrazione della mia tesi.
Il giovane Narratore sta conversando con il signor di Norpois, il quale è d'idee esattamente opposte a quelle del protagonista. Alla dichiarazione d'ammirazione da parte del Narratore per lo scrittore Bergotte (dallo stile evidentemente decadente, come verrà fuori in seguito nella citazione), il signor di Norpois risponde con parole di sdegno, che esprimono l'esatto contrario del pensiero di Marcel Proust nei confronti delle letteratura decadente, estetizzante propria di tutti i dandies e del primo decadente per eccellenza, Joris-Karl Huysmans:
Parla la madre del Narratore: " Mio figlio non lo conosce [Bergotte. Il Narratore ne legge soltanto i libri senza averlo mai incontrato di persona], ma lo ammira molto, disse mia madre.
"Mio Dio! Disse il signor di Norpois (ispirandomi sulla mia intelligienza dubbi più gravi di quelli che mi tormentavano di solito, quando vidi che ciò che io mettevo mille e mille volte sopra me stesso, ciò che c'era per me di più elevato al mondo, era per lui all'ultimo gradino nella scala dell'ammirazione) io non condivido codesto modo di vedere. Bergotte è quello che io chiamo un suonatore di flauto; bisogna riconoscere del resto che lo suona piacevolmente, anche se con molto manierismo ed affettazione. Ma infine è soltanto questo, e non è granchè. Mai che si trovi nelle sue opere senza muscoli quel che si potrebbe definire l'ossatura. Non c'è azione, o pochissima, ma soprattutto non c'è nerbo. I suoi libri difettano alla base, o piuttosto non hanno nessuna base. [egli si perde] in discussioni oziose e bizantine su pregi puramente formali. [...] so che è bestemmiare contro la Sacrosanta Scuola di quella che quei signori chiamano l'Arte per l'Arte, ma nella nostra epoca ci sono compiti più urgenti che disporre delle parole in maniera armoniosa. [è una maniera] molto leziosa, molto gracile, e ben poco virile."
Commentando poi una pagina che il giovane Narratore gli ha mostrato poch'anzi: "[...] ma c'è già lo stesso difetto, quel controsenso di allineare le parole molto sonore, curandosi solo dopo della sotanza. [...] Non so se sia Lomènie o Saint-Beuve che racconta che Vigny disgustava per lo stesso difetto."
Ora, lo stile, il modo di scrivere di tutti i dandies della storia è stato così come lo descrive il signor di Norpois: musicale, arificioso, attento più al suono che alla sostanza. E qui Proust si dichiara apertamente ammiratore di quella scuola, fondata direttamente da Oscar Wilde ed ancor prima da Walter Pater dell'Arte per l'Arte, o Art for Artsake, che, più che un modo di scrivere, è davvero tutta una regola di vita: è il dandismo applicato alla scrittura, se così si può dire. Colgo ancora l'allusione ad Alfred de Vigny, il dandy post-romantico per eccellenza, contemporaneo di Baudelaire, che "portava il mantello per nascondere le sue ali" (Paul de Molènes).
E con questo credo che possa bastare.
Per concludere, un'ammonimento: mi si potrà contestare che tutti i dati che ho presentato qui sopra possano tranquillamente non essere necessariamente caratteristici di un dandy, giacchè sono riscontrabili pure in altri scrittori o artisti del periodo; ed infatti è così. Ma tengo a precisare che tutte le caratteristiche elencate, con i loro particolari brani che le descrivono, sono caratteristiche di un dandy solo se si riscontrano tutte assieme in una sola anima.
Giustamente Stefano Lanuzza asserisce, lapidario: "Non esiste una comunità dandy ma, al massimo, un'intersezione di pensieri e comportamenti dai tratti dandistici, un volante incrocio di identità uniche".
Io ringrazio il lettore che è riuscito a giungere incolume fino fino in fondo a questo divertissement e ringrazio in special modo Marcel Proust, Oscar Wilde, Jean Cocteau, Robert de Montesquiou, Gabriele d'Annunzio, Barbey d'Aurevilly, Charles Baudelaire, Jacques Rigaut, Alfred de Vigny, e George Brummell.
(Settembre 2003)
Alcuni testi di riferimento:
- J. Cocteau, "Difficoltà di essere" (Serra e Riva editori, 1985)
- J. Cocteau, "Oppio" (SE, 2001)
- J. Cocteau, "Ritratti ricordo" (il Vascello, 1993)
- B. D'Aurevilly, "George Brummel e il dandismo" (Studio Tesi, 1994)
- P. Jullian, "Robert de Montesquiou" (edizioni Novecento, ?)
- M. Proust, "Alla ricerca del tempo perduto" curata da Pinto e Grasso (Newton e Compton, 1990)
- G. Scaraffia, "Gli ultimi dandies" (Sellerio, 2002)
- G. Scaraffia, "Marcel Proust" (Studio Tesi, 1986)
Pagine realizzate da Gabriella Alù
1998
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