Leggere Proust  >  I vostri contributi




Andrea Sperelli - IL DANDISMO DI MARCEL PROUST (pag.3)


La raffinatezza portata all'esasperazione, il gusto spiccato per una certa teatralità, portarono Proust, con l'aggravarsi delle sua malattia, a vivere chiuso tutto il giorno in casa, uscendo solo la notte, per recarsi al ristorante o a qualche ricevimento.

Quale modo di vita migliore, per un dandy, l'uscire di casa solo di notte ---giacchè Proust soffriva d'insonnia (e a sentire lui era quasi un privilegio) --- perennemente in frac?

A tale proposito ricordo la sontuosa figura che faceva nel suo "santuario" al Ritz, in cui Proust, chiuso in una camera al piano terreno adiacente alla hall, al riparo dalla luce solare e quasi totalmente al buio (se non per qualche candela sparsa qua e là, che contribuiva a dare al tutto un aspetto misticheggiante e misterioso) – ed egli, avvolto lo smoking nel suo mantello da sera foderato di seta bianca, sommerso da cuscini cremisi a ricami giapponesi, con incensi profumati agli angoli della stanza, attendeva i suoi visitatori (annunciati dal "signor Olivier, il quale rivestiva al Ritz un ruolo importante, era ad un tempo maggiordomo, e confidente da tragedia").

Quando Benoist-Méchin, che racconta la sua esperienza con Proust al Ritz, chiede al signor Olivier di vedere Proust, egli "gettò intorno a sé uno sguardo spaventato, come se temesse che qualcuno mi avesse udito pronunciare quel nome, e mi condusse nella camera occupata dall'autore di Swann" facendoli accomodare praticamente al buio su una poltrona di fronte a lui; poi iniziava il suo monologo, che poteva durare un'ora o anche più, durante il quale l'ospite, stordito dagli incensi e dalla fioca luce, stupefatto dal viso bianco e dalla voce melodiosa dello scrittore, non osava aprire bocca (la descrizione è tratta dalla lunga testimonianza di Jacques Benoist-Méchin).

Ebbene, non so voi, ma giudico questo atteggiamento tipico di tutti gli esteti decadenti fin-de-siecle, e in special modo di tutti i dandies dell'epoca. E se vi verranno in mente Wilde, o d'Annunzio, o Baudelaire, o Des Esseintes ebbene, sono tentato a credere che non si tratti di una pura coincidenza.

E non è detto che tale regola di vita gli fosse dettata esclusivamente dalla malattia, sulla quale per altro si possiedono in generale ben poche informazioni: era asma, certamente, ma a quale grado? Era davvero così grave dal costringerlo addirittura intere giornate settimane senza mai aprire i pesanti tendaggi che schermavano la luce solare, e proteggevano le delicate pupille dello scrittore? Sicuramente era molto grave, ma non sono da escludersi moti teatrali per rendersi più attraente e misterioso. Vi era certo una buona dose di nevrastenia, e lo stesso Proust se ne accorse, tentando più volte di farsi curare dai migliori specialisti dell'epoca, ma, ovviamente, senza risultati soddisfacenti; in fondo la psicanalisi, quale metodo di cura moderno, era ancora alle prime armi; e in ogni caso, guarire Proust sarebbe stato un po' come dare delle pillole anti-depressive a Van Gogh, o dei giusti farmaci a Aubrey Beardsley: una perdita irreparabile.

Comunque sia, volente o nolente, Marcel Proust si era circondato da una luminosa aura di leggenda; egli appariva solo di notte, quando i ricevimenti erano quasi giunti al termine, ma grazie alle sue ottime capacità di conversatore (altro punto in comune con tutti i dandies della storia) che tutti gli amici ricordano affascinati, era in grado di farli continuare a volte sino all'alba.

Paul Morand, un dandy romanziere, ricorda la visita che Proust gli fece, alle undici e mezza di sera, quando lui, ancora mezzo addormentato ed in pigiama, andava ad aprire la porta dell'appartamento e si ritrovava di fronte "un uomo pallidissimo, infagottato in un vecchio cappotto foderato di pelliccia, benchè la notte fosse tiepida; folti capelli neri, tagliati alla moda del 1905, sollevavano da dietro la sua bombetta grigia; la mano, guantata di capretto lucido tinta ardesia teneva un bastone da passeggio; le guance d'avorio opaco si scurivano verso il basso in un blu dolce, del colore della muffa del formaggio; i denti erano grandi e belli, i baffi mettevano in rilievo le labbra pesanti; le palpebre bistrate caricavano lo sguardo vellutato e profondo, velandone il magnetismo. Il visitatore mi disse con una voce cerimoniosa, tremula e artificialmente tagliente: Sono Marcel Proust".

Morand racconta che la visita si prolungò per un lunghissimo tempo, durante il quale Proust fu il solo a parlare, intervallando il suo discorso con lunghi intermezzi in cui si scusava per la tarda ora e quindi per il disturbo, poi elogiandolo in qualità di scrittore e d'uomo; Morand non aprì bocca: primo, perchè si era sempre veduto incapace di approfittare delle pause degli interlocutori, secondo, perchè si trovava di fronte, e per la prima volta, all'uomo che più ammirava in assoluto come scrittore il quale, "d'altra parte, non voleva essere interrotto".

Dalla attenta descrizione di Morand si notano diverse cose che ritengo utili al mio discorso: come ho già detto, l'ottima capacità di conversatore dello scrittore, nonchè il suo gusto per la teatralità, l' "artifizio, e la sorpresa; in tutte le visite notturne, o le rare uscite diurne, tutte accuratamente documentate da chi lo incontrò ma che per ragioni di tempo e voglia non citerò, si nota in lui un vivo desiderio di affascinare.

Anche, pure se qui non è troppo evidente, l' incredibile gentilezza di Proust, fatta di continue adulazioni, il più delle volte non meritate, cortesie infinite, tanto che Fernand Gregh e compagnia avevano coniato il verbo "proustificare", per esprimere un atteggiamento un po' troppo consapevole di cortesia con dei guazzabugli sentimentali che "la gente avrebbe definito delle 'smancerie'deliziose ed interminabili".

Lungi dall'essere uno stupido, Marcel sapeva bene che la gentilezza, oltre a venire prima di tutto in un rapporto amichevole, era anche ottimo modo per stupire gli altri. Non è quindi detto, infine, che tutte le lodi che tesseva le ritenesse poi seriamente degne di considerazione. d'una originalità propria, non già scimmiottata, come quella che continuavano a praticare le decine di discepoli del conte, che oggi sono del tutto sconosciuti.

Come Proust, anche Cocteau, ma ben più tardi che l'amico, finì per negare l'estetismo decadente di Montesquiou, per aderire ad un dandismo più sportivo e apparentemente noncurante.

Ma, come dice giustamente Scaraffia, "Proust fu farfalla, prima che crisalide"

Torna alla pagina precedente  Vai  alla pagina successiva



Leggere Proust > I vostri contributi



Torna all'indice

Torna alla pagina principale



Pagine realizzate da Gabriella Alù
1998


Torna a inizio pagina