PROUST UN GENIO FATTO DI CARTA

di GIOVANNI RABONI

(da IL CORRIERE DELLA SERA del 10 giugno 2002)



Vita quotidiana, perversioni, dolori e ambizioni del romanziere che volle "essere" la sua opera. Una miniera di notizie e suggestioni senza precedenti La struttura elementare è scandita da brevi paragrafi. Tredici anni dedicati alla composizione solitaria

Ancora una biografia di Proust? Sì, ancora una: ultima, per ora, d'una lunghissima serie che dopo l' inaugurale Marcel Proust, sa vie, son oeuvre di Léon Pierre-Quint (1935) annovera fra l' altro, per non citare che due titoli di particolare spicco, l' elegiaco A' la recherche de Marcel Proust di André Maurois (1949) e il "rivoluzionario" Marcel Proust di George Painter (1959), e che avanzando verso i nostri giorni si è fatta via via tanto più fitta quanto più vasta e in qualche modo leggendaria è diventata nel frattempo la fama dell' autore della Recherche. Ma ancora una non vuol dire, almeno in questo caso, una come le altre; e credo anzi che la prima cosa da sottolineare, a proposito della Vita di Marcel Proust di Jean-Yves Tadié di cui Mondadori sta per mandare in libreria la traduzione italiana curata da Giovanni Bogliolo (pagine XI-915), è che assomiglia pochissimo, anzi che non assomiglia quasi per niente a quelle che la precedono.

Dico subito che a fare la differenza non c' è soltanto un elemento soggettivo, cioè l' ineguagliabile competenza proustiana di chi l' ha scritta (ricordo che Tadié ha diretto, anzi continua a dirigere, trattandosi di un cantiere in qualche modo perenne, la monumentale nuova edizione della Recherche nella "Bibliothèque de la Pléiade"), ma anche due elementi oggettivi di fondamentale importanza. Il primo è costituito dai 21 volumi della Correspondance usciti fra il 1970 e il 1993 a cura di Philip Kolb: un' autentica miniera di notizie e suggestioni alla quale gli studiosi non avevano avuto, prima, che un accesso alquanto incompleto, l' unica raccolta disponibile essendo quella in sei volumi pubblicata fra il 1930 e il 1936.

Il secondo consiste nel fatto che durante gli ultimi due decenni (diciamo, all' incirca, da quando è apparso, sempre a cura di Kolb, il prezioso Carnet de 1908) è stato possibile condurre - e a farlo sono stati, in gran parte, proprio Tadié e l' équipe dei suoi collaboratori - un' esplorazione sistematica degli sterminati materiali manoscritti (suddivisi o suddivisibili in due grandi categorie, i quaderni degli "abbozzi" e i quaderni delle "aggiunte") dai quali la Recherche è nata e dei quali si è nutrita fino, è proprio il caso di dirlo, all' ultimo respiro del suo autore.

Si tratta, in un certo senso, di due acquisizioni simmetriche, e in ogni caso perfettamente complementari: quanto l' ormai totale, o quasi, consultabilità della corrispondenza può arricchire - ma anche portare oltre i limiti della le gittimità etica o, almeno, della pietà - la nostra conoscenza dell' uomo Proust, altrettanto lo studio dei manoscritti può favorire - ma anche complicare fino alla confusione, fino a farci perdere di vista l' unitarietà e il "finalismo" dell' opera, ai quali Proust attribuiva, come è noto, un valore assolutamente primario - quella della genesi e delle successive stratificazioni e trasformazioni del capolavoro (processo che Tadié evoca con esemplare chiarezza descrivendone, in quattro capitoli successivi, quattro distinte fasi evolutive: Contre Sainte-Beuve, Le temps perdu (1912-1913), Il romanzo del 1914, Il romanzo del 1918).

Ebbene, come intrecciare e dosare fra loro i due ordini di sollecitazioni? E, ancora, che uso farne, fino a che punto spingersi, quali scopi (e limiti) assegnare alla ricerca? Credo che proprio nella risposta o, meglio, nella serie di risposte date implicitamente, nel corso del libro, a queste delicatissime domande Tadié abbia dimostrato di essere pienamente all' altezza del compito cui ha voluto, per devozione al "suo" autore, sobbarcarsi. Non era facile, per un filologo in possesso di un materiale così vasto e così eccitante, evitare di "sovrapporsi" allo scrittore, resistere alla tentazione di smontare l' enorme puzzle del testo col rischio di renderne illeggibile il disegno, di non trovare più la collocazione dei singoli pezzi. E non era facile, per un così completo conoscitore del personaggio, non cedere al demone dell' indiscrezione, della rivelazione a tutti i costi, indugiando per esempio più del necessario e del dovuto - come ha fatto a suo tempo, diciamo la verità, il bravo Painter - sul capitolo delle sue "perversioni" (che si riducevano molto semplicemente, a quanto pare, a una miscela abbastanza comune e del tutto inoffensiva di pratiche voyeuristiche e autoerotiche).

Sia in un caso che nell' altro, Tadié ci è riuscito benissimo; e altrettanto bene, mi sembra, è riuscito a intrecciare in un' unica e quasi elementare struttura narrativa, scandita in brevi paragrafi di immediata afferrabilità, i due filoni del discorso: quello relativo alle vertiginose vicissitudini del testo e quello relativo ai fatti dell' esistenza quotidiana, alle abitudini e frequentazioni mondane, alla complessa e spesso dolente, spesso tormentosa vita affettiva. Non vorrei essere frainteso: Tadié non ha eluso nessuna questione, non si è sottratto a nessuna domanda. Semplicemente, ha scelto (e saputo mantenere per quasi mille pagine) un tono misurato, tranquillo, da relatore onnipresente e onnisciente ma inflessibilmente discreto; un testimone credibile non deve mai alzare la voce e Tadié non l' ha mai alzata una sola volta.

Ed è anche grazie a questa calcolata pacatezza espositiva che risultano così persuasive, così irrecusabili le due immagini fondamentali attorno alle quali l' intero libro è costruito: da una parte, l' immagine di un' opera che cresce "mostruosamente" su se stessa annettendosi, in una sorta di espansionismo infinito, sempre nuove porzioni di realtà e di scibile e che tuttavia appare programmata fin dall' inizio con terribile chiaroveggenza per arrivare (non importa se dopo cinquecento pagine o dopo tremila, dopo qualche anno o dopo un' intera vita) esattamente a "que l" finale, per trovare il proprio senso ultimo, la salvezza propria e del mondo esattamente in "quella" frase, addirittura in "quella"parola; dall' altra, l' immagine di un uomo fragile, sofferente, intimamente piagato da atroci e insondabili mancanze e tuttavia dotato di una lucidità intellettuale, di una laboriosità, di una resistenza alla fatica, di una capacità di capire e connettere e prevedere tutto, che definire prodigiose è davvero poco e che ci indurrebbero quasi a vederlo in una dimensione sovrumana o perlomeno eroica.

Ma anche questa è una tentazione o, se si preferisce, un eccesso cui Tadié, con ammirevole prudenza, né si abbandona né ci invita.




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