LA FRASE DI PROUST


Questa è la famosa frase che fece tanto esasperare Madeleine, uno dei primi lettori della Recherche. E non è nemmeno la più lunga!

Julia Kristeva, nel suo libro "Le temps sensible" fa di questa frase, chiamata anche "la suites des chambres" una analisi testuale molto approfondita, della quale potete leggere una sintesi .






Ma avevo riveduto ora l'una ora l'altra le stanze che avevo abitate nella mia vita, e finivo col ricordarle tutte nelle lunghe fantasticherie che seguivano al mio risveglio: camere invernali dove, quando siamo a letto, rannicchiamo il capo in un nido intessuto delle cose più disparate, un angolo del guanciale, l'orlo delle coperte, una cocca di scialle, la sponda del letto e un numero dei "Débats roses", nido che poi alla fine si cementa secondo la tecnica degli uccelli, standovi appoggiati indefinitivamente; dove, quando il tempo è gelido, il piacere che si prova è di sentirsi divisi dal mondo di fuori (come la rondine marina ha il suo nido nel fondo d'un sotterraneo, nel calore della terra), e dove, mantenendosi acceso il fuoco del camino tutta la notte, si dorme in un gran mantello d'aria calda e fumosa, percorsa dai bagliori dei tizzoni che si riaccendono, una specie di impalpabile alcova, di calda caverna scavata in seno alla camera stessa, zona ardente e mobile nei suoi contorni termici , aerata da aliti che ci rinfrescano il viso, e vengono dagli angoli, dalle parti più vicine alla finestra o lontane dal focolare e diventate fredde; camere estive dove piace unirsi alla notte tepida, dove il chiaro di luna venuto a posarsi sulle imposte socchiuse getta fino al piede del letto la sua scala incantata, dove si dorme quasi all'aperto, come la cingallegra cullata dalla brezza in cima a un raggio; a volte la camera Luigi XVI, così allegra che neppure la prima sera non mi ci ero sentito molto triste, dove le colonnine che sostenevano leggere la vòlta con tanta grazia si scostavano per mostrare e serbare il luogo del letto; a volte invece quella, piccola e col soffitto molto elevato, scavata a forma di piramide all'altezza di due piani e in parte rivestita di mogano, dove fin dal primo momento ero stato moralmente intossicato dall'odore sconosciuto di gramigna indiana, convinto dell'ostilità delle tende viola e dell'indifferenza insolente della pendola che cicalava forte come se io non ci fossi stato; - dove uno strano e spietato specchio quadrangolare a bilico, sbandando di sbieco uno degli angoli della stanza, si apriva a forza nella dolce pienezza del mio ordinario campo visuale un posto che non vi era preveduto; - dove il mio pensiero, sforzandosi per ore e ore di estendersi, di innalzarsi per prendere l'esatta forma della stanza e giungere a riempire fino all'alto il suo imbuto gigantesco, aveva sofferto molte altre notti penose, mentre me ne stavo disteso nel letto, con gli occhi alzati, l'orecchio ansioso, la narice restia, il cuore che batteva: fino a quando l'abitudine non avesse mutato il colore delle tende, fatto tacere la pendola, insegnato la pietà allo specchio obliquo e crudele, dissimulato, se non messo in fuga interamente, l'odore della gramigna indiana, e diminuito in modo notevole l'apparente altezza del soffitto.

-- La strada di Swann




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1998