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Alessandro Piperno "Proust antiebreo" (3)


In primo luogo, la storia del nome di Swann: la figlia Gilberte, dopo la morte del padre ne rinnega il nome e fa di tutto per far dimenticare le proprie origini ebraiche.
Questo tradimento costituisce, secondo Piperno, un vero e proprio "parricidio del nome”.



L'ebraismo appare, nell'universo proustiano, come "sintomo e sinonimo d'una mancanza ancestrale", come "mancanza d'abissalità", di quella "assenza di profondità" di cui i razzisti ariani hanno spesso accusato gli ebrei.

Esemplari, in questo senso, il pensiero e gli scritti in cui Wagner, quel Wagner la cui musica era tanto amata da Proust, prova a spiegare - in particolare nel Das Judenthum in der Musik (il Giudaismo nella musica) - la "naturale ripugnanza antigiudaica che ogni buon ariano sente profondamente nel cuore”.



Mimetismo, l'ansia di piacere, di essere bene accolti, di promuoversi socialmente utilizzando tutti gli strumenti della seduzione costituiscono il marchio del vizio congenito che rende insopportabili gli ebrei, agli occhi di Proust; il vizio da cui egli stesso vuole emendarsi. Perché altrimenti non sarà possibile tenere la giusta distanza, la giusta libertà e soprattutto fa disperdere in fatui interessi mondani più effimeri del vento.

Adattamento, conformismo, mascheramento accomunano gli ebrei della Recherche con gli omosessuali così come in essa appaiono: entrambe le razze (è così che Proust le considera) sviluppano infatti impressionanti qualità mimetiche in modo da confondersi con l'habitat ostile in cui si trovano fatalmente a vivere.

Proust fustiga i suoi ebrei ed i suoi omosessuali perché non hanno il coraggio di affermare e rivendicare la propria autenticità. E’ questo il peccato capitale per cui il loro autore li condanna all'inferno.

Seguendo il filo di lettura che ci propone Piperno ci troviamo di fronte dunque, ed ancora una volta, ad un problema di identità e di appartenenze che si sviluppa in un sofferto gioco di identificazioni proiettive e di rispecchiamenti. E’ molto interessante, a questo proposito, la chiave interpretativa con il quale viene "letta" la grande capacità imitativa di Proust tramandataci da tutti coloro che l’hanno conosciuto e frequentato (famose sono rimaste le sue imitazioni di Montesquiou) nonché tutta la fase di scrittura costituita dalla stesura dei pastiches, normalmente intesa semplicemente come una fase preparatoria, una sorta di palestra letteraria ed esercizi di stile.

No, dice Piperno: qui c’è dell’altro.


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1998