Leggere Proust  >  Note a margine e Appunti di lettura






Alessandro Piperno "Proust antiebreo" (4)


C’è un Proust che, lui stesso, ha sempre desiderato di sentirsi pienamente accettato da quella società nella quale invece, se prestiamo fede alla testimonianza di Lucien Daudet, non lo accolse mai se non in modo superficiale e marginale, che non lo considerò mai, insomma davvero “uno dei nostri”.

E che cosa diventa nel corso dell’opera l'Affaire Dreyfus, la tragedia di questo innocente accusato a torto? Che cosa, se non


"... la possibilità di frequentare un salotto o l'eventuale ostracismo dal medesimo." (p.134)



Ancora problema di accettazione, di integrazione, dunque.



Tutto questo e ben altro (profanazione delle madri, vendette trasversali, umiliazioni incurabili, spergiuri e misconoscenze) viene visto, registrato, analizzato con gli occhi imperturbabili ed impietosi dell'entomologo, o meglio, con gli occhi di un Narratore


"...divinità zoomorfa come quelle dell'antico Egitto. Il Narratore ha il cuore umano e gli occhi del gufo" (p.152).


"Anonimo e fuori dal Tempo, solo così può mantenersi osservatore imperturbabile ed impermeabile a qualsiasi commozione." (p.152)



Questo, il Narratore.

Ma chi era, o meglio, cos'era Marcel Proust? Ebreo? Cattolico? Francese? Dreyfusista? Antidreyfusista? Omosessuale? Eterosessuale? Sadico?Masochista?

Tutte queste cose insieme.Una massa di identità che contraddicendosi si annullano vicendevolmente.

E’ per questo che il suo Alter Ego, il Narratore, non può che essere un Ibrido inafferabile e indefinibile


"... specchio enorme che riflette continuamente mille diverse immagini di sé stesso" (p.153).



E’ anche per questo che la sua stessa scrittura è indefinita ed indefinibile:


"Proust ricerca faticosamente una scrittura che si pieghi in nessun modo al fascino confortevole del definito e del dimostrato. Una scrittura incompiuta, che sposti il più possibile la verità, o meglio che sappia scoprirla non in un approdo estremo ma in un'insaziabile rincorsa, dove l'Oggetto viene raggiunto per subito sgusciare via, tutto questo all'infinito" (p.158)





Non c’è niente che si salvi, nella Recherche. Nemmeno la Letteratura e l’Arte, così come vorrebbe farci credere Proust e così come aveva creduto e scritto Deleuze.


"La Recherche è un inno che inneggia alla distruzione del mondo (...), la Recherche non conosce Riscatti Possibili. Accoglie tutto nel suo catasto di disgregazione" (p.160)



Proust pessimista, dunque? Non proprio.


"la grande forza di Proust non è quella - o non soltanto - d'aver scritto un romanzo di tremila pagine, ma quella semmai d'aver sostenuto una simile visione del mondo (fedeltà all'oscillazione) che sarebbe incongruo e insoddisfacente definire pessimista, ma che confessa il proprio tormento nell'incapacità di afferrarla e di capirla pienamente" (p.161)



Avviandomi alla conclusione di questi Appunti di lettura con i quali non ho messo a fuoco che solo alcuni dei molti elementi stimolanti contenuti in questo "Proust antiebreo" la cui lettura può forse, talvolta, destare qualche perplessità ma che sicuramente non può lasciare indifferenti, mi accorgo di pensare che uno dei passaggi più importanti e significativi del libro non è contenuto nel testo principale ma, scritto molto piccolo, si trova in una nota a piè di pagina. In esso leggo:


“Il problema della verità e dell’autenticità anche nel segno più negativo e nichilista è il vero indiscusso motore che muove l’ingranaggio proustiano: un moralismo al negativo che lo costringe ad essere il più possibile sincero con se stesso” (nota a pag. 73)




E mi torna in mente quella


lettera del febbraio 1914 in cui Proust scriveva a Jacques Rivière:

“...quel che mi prefiggevo era la ricerca della verità, e in che cosa essa consisteva per me”



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Alessandro Piperno ha studiato Letteratura francese all'Università di Tor Vergata, ha collaborato a riviste quali Nuovi Argomenti e Paragone

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Attualmente si occupa del rapporto tra ragione e nichilismo nell'Ottocento francese.
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(Marzo 2000)

fiori


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1998